vengo dall’Italia ma ho origini albanesi. Da piccolo ho trascorso un periodo in comunità di 13 anni. Ho avuto il mio primo figlio a 23 anni e la seconda a 26.
Cosa significa per te essere genitore?
Essere genitore per me è stato, e lo è ancora, come rivivere un po l’infanzia, nel senso che riesci a confrontarti con quello che ti è mancato quando eri in comunità. Per cui vedere quello che riesci a dare ai figli mette sotto la luce quello a livello sociale, personale e interpersonale è mancato. Significa anche un po’ riavere indietro quello che mi è mancato, soprattutto nella relazione con i genitori: essere amati incondizionatamente.
Pensi che le esperienze vissute nel corso dell’infanzia influenzino il tuo modo di essere genitore?
La prima cosa è che io ho sempre avuto voglia di famiglia e ho avuto la fortuna di trovare una compagna che avesse questo desiderio come me. Quindi mi sono sposato e ho avuto figli presto. Questa è la prima cosa su cui ha fatto la differenza: volere una famiglia e riuscire a crearla. Seconda cosa, io credo di riuscire ad accorgermi di molte più cose: di cosa manca, ma riesco anche ad avere un’empatia diversa con i miei figli.
Quale sostegno ricevi o hai ricevuto da professionisti nel tuo ruolo di genitore?
Io ho avuto la fortuna di essere accolto in una struttura che non se ne è fregata dei 18 anni e che mi ha aiutato e seguto fino a quando ho voluto, è stata una cosa reciproca. Non è stato tanto l’aiuto a livello genitoriale in senso stretto, ma l’accompagnamento all’uscita. Ci sono state alcune persone che mi hanno spiegato cosa succede quando esci, anche alcune cose concrete come cercare il lavoro, la casa. Ma c’è stato anche un aiuto mentale, organizzativo, di come strutturare la vita da adulto. Per cui per me è stata una fortuna avere queste persone, anche nell’arrivare alla genitorialità.
Quale sostegno ricevi o hai ricevuto da amici, familiari o persone della comunità?
Io a un certo punto mi sono voluto allontanare e staccare dal mondo del fuori famiglia. Stando sempre con le stesse persone, che hanno sempre gli stessi tuoi problemi, è difficile uscirne. Perché a un certo punto quando sei circondato dalle stesse persone fai le stesse cose. E invece io ho voluto staccarmi per vedere anche altro. Per cui questo allontanarsi e frequentare anche altri tipi di persone, che sono state in famiglie “normali”, mi ha permesso di vedere altre cose. È stato lì che ho incontrato mia moglie ed è stato un aiuto per noi avere soprattutto la sua rete famigliare. Chiaramente questo non è scontato, nel senso che crescere in famiglia non da la garanzia di avere una rete familiare che ti aiuti. Però io ho trovato in mia moglie e nella sua famiglia, una famiglia positiva. Con tutti i limiti e le difficoltà che ci sono in tutte le famiglie, sono sempre stati presenti e ci hanno supportato tanto nel crescere i figli e nel migliorare alcune dinamiche di famiglia.
Guardando indietro, che cosa è stato utile o meno rispetto al tuo ruolo di genitore?
Per le persone un po’ orgogliose come me, è difficile chiedere aiuto: pensi sempre che sia segno di debolezza e fai fatica. E invece la cosa che andrebbe riconosciuta, raccontata e spiegata ai ragazzi che escono da “fuori famiglia” o che comunque si approcciano alla genitorialità, è che nella vita non puoi sapere tutto, anzi è impossibile. Quindi la cosa migliore, che mi sentirei di consigliare a tutti I genitori, è di non aver paura a chiedere consiglio a chi ne sa più di te, che siano professionisti, che siano altri genitori, persone “fuori famiglia” che diventano genitori. Chiedere consiglio fa una differenza pazzesca, io con l’andare avanti del tempo l’ho capita questa cosa e e l’ho usata spesso, lo faccio tutt’oggi. Mio figlio inizia ad affrontare l’adolescenza e io non so come la si affronta. E quindi mi sto confrontando con altre persone e si apre un mondo infinito quando inizi a chiedere le cose. E forse è l’unico consiglio che mi sento di dare a chiunque, non solo a chi è stato fuori famiglia.
Quali consigli daresti a professionisti, organizzazioni o governi per rendere la genitorialità un’esperienza positiva per i futuri giovani con esperienza “fuori famiglia”?
Secondo me le persone, e anche le istituzioni probabilmente dovrebbero fare un lavoro su questo, dovrebbero essere educate all’ascolto. Quando si fanno gli incontri, i corsi di formazione eccetera, c’è sempre qualcuno che spiega le cose e invece secondo me devono partire dalle domande, per educare al chiedere consiglio. La genitorialità non è una cosa che si racconta o che si spiega, è una cosa che si vive, e le domande vengono mano a mano che che succedono le cose. Quindi probabilmente bisognerebbe educare maggiormente all’ascolto e far sì che che le cose nascano dalle domande delle persone. Poi è giusto che professionisti intervengano e spieghino, perché dietro al fatto che succede qualcosa magari ci sono delle delle teorie, delle leggi, però la spiegazione non è la prima cosa che dovrebbe esserci.
Questo blog fa parte della nostra conferenza ExChange, “Ci vuole un villaggio: prospettive globali sui genitori con esperienza nella cura”
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